“L’infinito” è il concept album di Roberto Vecchioni, disponibile da venerdì 9 novembre in tutti i negozi di musica. Arriva a distanza di cinque anni dall’ultimo lavoro discografico, “Io non appartengo più”. Il primo singolo estratto dal nuovo disco sarà “Ti Insegnerò a volare”, ispirato al pilota Alex Zanardi, arriva in radio il giorno dell’uscita dell’album (9 novembre), e vede l’eccezionale collaborazione di Francesco Guccini. “L’Infinito” contiene dodici nuovi brani e sarà disponibile solo in cd e vinile, quindi niente piattaforme streaming e download. Inoltre sarà possibile acquistare anche una versione Deluxe, arricchita dal saggio “Le parole del canto. Riflessioni senza troppe pretese”, e la Vinile Limited Edition. TRACKLIST: 1. Una notte, un viaggiatore – 5’31” 2. Formidabili quegli anni – 4’01” 3. Ti insegnerò a volare (Alex) – 4’34” 4. Giulio – 4’30” 5. L’infinito – 5’36” 6. Vai, ragazzo – 4’03” 7. Ogni canzone d’amore – 4’33” 8. Com’è lunga la notte – 3’07” 9. Ma tu – 4’18” 10. Cappuccio rosso – 4’56” 11. Canzone del perdono – 3’05” (non presente nel Vinile) 12. Parola – 4’11” Oltre a Francesco Guccini, l’album vanta anche la partecipazione di Morgan sulle note di “Com’è Lunga la Notte”. Questo è un album manifesto, come spiega Vecchioni: non 12 brani, ma un’unica canzone divisa in 12 momenti, la necessità di trovare l’infinito al di qua della siepe, dentro noi stessi. Si tratta di una narrazione che tiene insieme tante storie, da Zanardi a Giulio Regeni, dalla guerrigliera curda Ayse a Leopardi. Così spiega la scelta di Leopardi come punto di riferimento: “Mi sono detto: ‘Devi trovare la persona più lontana possibile dall’amore per la vita e fargliela amare’. E allora ho scelto Leopardi. Tutti penseranno: ‘Come fa a scegliere Leopardi in un disco che parla di vita?’. Mi sono riletto soprattutto l’ultimo Leopardi, quello del periodo napoletano. A Napoli lui è come in un’atmosfera di sogno, di canti di bambini, di mare. Vede la vita leggermente in un altro modo ed è come se chiedesse una tregua al dolore. Lo fa in due canti bellissimi: La Ginestra e Il tramonto della luna. Alla ginestra non gliene frega un cazzo delle stelle o del mare. Le importa soltanto di mandare il suo profumo intorno: è quello che dovrebbero fare gli uomini. Ma il più bello di tutti è l’ultimo, scritto sul letto di morte, quando lui si immagina che la giovinezza finisca, muoia, come la luna che tramonta. E tutti quelli che hanno letto Leopardi si aspetterebbero che venga giù la notte, il buio, la fine. Ma no: negli ultimi versi della sua vita, lui dopo la notte fa sorgere il sole, un sole bellissimo, e fa illuminare tutta la terra. Leopardi non aveva mai usato la parola ‘sole’ nella sua carriera: la usa solo alla fine. Era l’esempio che volevo, quello più grande”.